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Critica
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"Rotte fantastiche e rotte vere"

Rossana Piccioli (Studiosa di etnografia e storia delle tradizioni popolari
Conservatore del Museo Etnografico “Giovanni Podenzana” della Spezia
Responsabile degli “Archivi del Novecento” del Centro Studi “Alessandro Malaspina” di Mulazzo MS) - Agosto 2013

In inglese il termine che indica il viaggio, travel, ha la stessa radice del francese travail, "lavoro", "travaglio". Viaggio come fatica, dunque, come lavoro condotto anche su di sé, perché il valore del viaggio è pur sempre un'esperienza di transito da un mondo a un altro: il viaggio è "tra". Tra la propria realtà e un altro luogo, verso il quale ci si muove oggi con viaggi fin troppo addomesticati verso paesi che già conosciamo prima di partire perché li abbiamo visti nei documentari, ne abbiamo letto sulle guide e sulle riviste di viaggio. Nulla di paragonabile alle esperienze dei viaggiatori romantici dell’Ottocento, per i quali il viaggio era avventura, era partire verso mete immaginate ma sconosciute, era muoversi su percorsi incerti, comunque non prevedibili.
Nulla di paragonabile ai viaggi in cui ci conduce Antonio Barrani, lungo fantastiche rotte in bilico fra liricità, nostalgia e sogno, sovrapposte ai tracciati nautici con il contrasto, non certo casuale, fra la rigidità tecnica del mezzo cartografico e la libertà della fantasia, del cromatismo e di una contenuta ironia. La sua opera artistica quasi ci invoglia a rileggere l’Histoire des grandes voyageurs, le pagine di Jules Verne, o di Salgari, o i bollettini della Hakluyt Society, la più grande enciclopedia sugli antichi viaggiatori.
La mostra delle opere di Barrani, ospitata nelle sale del Museo Etnografico cittadino, sottolinea la connessione con la lunga tradizione di quei viaggiatori che per tutto il secolo scorso qui hanno voluto depositare i loro ricordi di viaggio, le loro collezioni private. E di queste molteplici collezioni saranno esposti in contemporanea e simbolicamente, a rappresentare tutti gli altri, oggetti e immagini riportati in patria da Giovanni Podenzana, uno dei viaggiatori più fecondi del panorama locale fra Otto e Novecento, a cui si intitola oggi il Museo.
L’Ottocento fu, sotto molti punti di vista, l’età dei viaggi, e l’Italia divenne la meta ricercata di itinerari in parte collocabili nella tradizione del Grand Tour, in parte rispondenti a necessità differenti, legate alle trasformazioni politiche, ideologiche e culturali del “secolo delle nazionalità”; la Liguria dell’ultimo scorcio del XIX secolo vedrà però protagonisti molti suoi viaggiatori anche sulle più impegnative rotte oceaniche. Memorabile la traversata dell’oceano Atlantico sulle orme del primo viaggio di Cristoforo Colombo, del capitano Enrico Alberto d’Albertis a bordo del “Corsaro”, nel 1893, e del cugino di lui, Luigi Maria d’Albertis, che già nel 1874 aveva esplorato vaste regioni della Nuova Guinea e percorso in scialuppa, per ottocento chilometri, l’inesplorato corso del fiume Fly; ma anche di Giacomo Doria e di Arturo Issel, fino ad arrivare a due viaggiatori spezzini, il già citato Giovanni Podenzana, naturalista etnografo musicista e collezionista, e il geologo Giovanni Capellini.
Le storie ufficiali dell’esplorazione e del viaggio di età moderna e contemporanea prestano pochissima attenzione ai viaggiatori locali, fatta eccezione per il caso di Alessandro Malaspina, che si inquadra nello scenario settecentesco delle grandi esplorazioni scientifiche e politiche. Eppure il viaggio per mare connotato come intrapresa scientifica - il “viaggio utile”, come lo definisce Paul Morand - di quegli uomini che consideravano il muoversi verso terre lontane come un dovere, e che in modo ingenuo o consapevole, con i loro rilievi, disegni, scoperte, annotazioni contribuivano all’inventario del pianeta, è stato fondamentale anche per lo sviluppo della Spezia fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, quando una gran mole di oggetti appartenenti a luoghi e civiltà diverse trovarono approdo fra le mura del suo museo civico, consolidando la vocazione di una città legata fortemente al mare.
Luogo di convergenza fra arte e rappresentazione del mondo, le “rotte fantastiche” di Antonio Barrani incrociano qui le “rotte vere” di Giovanni Podenzana verso l’altrove, rotte che l’etnografo spezzino ripercorrerà a ritroso, verso casa, a undici anni di distanza dal primo avventuroso viaggio per mare con destinazione Australia e Tasmania iniziato nel 1891, a cui poi seguiranno altre mete: Nuova Zelanda, Nuova Guinea, Isole Fiji, Stati Uniti, Giappone.
Contrappunto reale alle rappresentazioni pittoriche del mare e dei piroscafi di Barrani, colorata metafora di itinerari dello spirito, il racconto di un altro piroscafo, il Brunswich, in navigazione verso le Terre Australi in un lontano agosto, ci riporta le atmosfere che Giovanni Podenzana, assieme a un altro sognatore, l’amico Giovanni Schiffini, vissero nel loro viaggio giovanile: musica da ballo e luci, belle donne e ufficiali; tre uomini sono seduti intorno a un tavolo e discorrono amabilmente. Da oriente spira, a tratti, una brezza leggera, dopo il caldo torrido del giorno. Uno dei tre uomini aveva annotato, quel pomeriggio, sulle pagine del suo diario di viaggio: «non si vedono che rare nuvole, il mare è appena increspato…». I taccuini di Podenzana, almeno quelli che si sono conservati, non hanno certo l’acutezza critica dei diari di Toqueville né l’efficacia narrativa degli appunti di Stevenson nei mari del sud, ma sanno comunque mescolare i diversi punti di vista, storico, politico, geografico, paesaggistico, scientifico e antropologico sulle terre e sulle popolazioni visitate.
Podenzana, diversamente dal capitano d’Albertis, intrepido mainà zeneize, viaggiò non per celebrare storiche imprese o in cerca di pubblici riconoscimenti né - come Capellini - si dotò di lettere di presentazione e di cospicue sponsorizzazioni; egli viaggiò soprattutto per il proprio piacere e per raccogliere: collezionò moltissimo, dedicandosi, oltre che ai materiali etnografici, a tutto quanto poteva essere raccolto in luoghi esotici: insetti, molluschi, piante, animali, e crani e interi scheletri umani. Non sembri strano che lo stesso collezionista potesse dedicarsi a categorie tanto diverse di oggetti: egli era sempre mosso dall’aspirazione di completare delle serie, di raccogliere testimoni dei suoi percorsi intellettuali, oltre che spaziali, e di renderli disponibili a tutti contribuendo a formare un’immagine universale dell’uomo e della natura.
Non diverse molteplicità si trovano nelle opere di Barrani, dove si scoprono vincoli che si legano sia al mondo sia al proprio territorio. Dalle sorprendenti sovrapposizioni pittoriche alle carte nautiche che fanno da sfondo, emerge, tra visioni simboliche e suggestioni diverse, lo spirito delle Cinque Terre, alle quali Barrani appartiene (bellissimo l’essenziale trenino che sullo sfondo di una cartografia della costa trasporta borgo, e faro e chiesa), il “senso” forte di quel mare agitato sempre presente a sostenere i suoi mondi magici, la liguricità del navigare.
Se i piedi restano a terra, gli occhi guardano – come già percepiva Ettore Cozzani nel Regno Perduto della sua Vernazza – di là, lontano, ma nello stesso tempo rinsaldano quel legame affettivo e sentimentale che ha radice nella cultura espressa dai propri luoghi, suggerendoci che non c’è viaggio più bello di quello che si sogna.

"Mappe nell'arte (e viceversa)"

Luisa Rossi (Geografa, docente di Geografia e di Storia della geografia e delle esplorazioni nell'Ateneo parmense. Collabora con le Università di Genova e di Limoges. Si occupa di questioni ambientali, paesaggio, storia del territorio toscano e ligure, cartografia) - Luglio 2013

Nel secondo Ottocento si consuma in cartografia il divorzio fra “arte” e “misura”. Per secoli i cartografi, sia che producessero carte per la navigazione, mappassero confini e campi di battaglia, si esercitassero in progetti stradali o disegnassero le proprietà terriere con la raffigurazione minuziosa di campi coltivati, ville e case coloniche, tanto meglio riuscivano nel compito di restituire sulla carta lo spazio geografico – e quindi di consentirne la visualizzazione – quanto più sapevano integrare il sapere geometrico, necessario a ridurre in scala la realtà, con le abilità pittoriche, utili a dare la percezione del paesaggio così come l'occhio lo coglie.
A lungo si è dunque rappresentato il territorio adottando in una stessa carta prospettive  diverse: si sono disegnate in pianta (punto di vista verticale) porzioni di spazio, per esempio la città con i suoi isolati, il suo intrico di strade, i suoi orti e giardini, mentre si è collocato sullo sfondo (punto di vista orizzontale) il sipario delle catene montuose come disegnate “dal vero” con i loro picchi e i loro ghiacciai finemente colorati all'acquarello. Non si contano i manuali che, capitolo dopo capitolo, offrono agli apprendisti cartografi e topografi – mestiere civile e soprattutto militare tenuto in grande considerazione, tanto che in Francia esisteva il Corpo dei “Geografi del Re”, insegnavano tutto quanto necessario alla produzione delle carte, dalla matematica alla geometria alla triangolazione fino, appunto, a dare precise indicazioni circa i simboli da utilizzare per montagne e pianure, boschi e paludi, e sull'uso del pennino, del pennello e dell'acquarello. Gli archivi di tutto il mondo, ovviamente compresi quelli liguri, sono pieni di magnifiche carte manoscritte, specialmente settecentesche, esemplari per l'abilità con cui il cartografo adotta moduli pittorici.
Andando ad altre epoche, per esempio ai secoli del Medio Evo e poi delle grandi scoperte quando gli spazi da considerare nella carta includevano regioni ancora ignote e mari poco o nulla solcati dalle navi di un mondo occidentale in enorme espansione, le abilità artistiche del cartografo intervenivano anche per riempire i “vuoti” della carta. Oltre lo spazio geografico conosciuto che nella carta si esprimeva con simboli imitativi di facile comprensione, si aprivano vuoti di cui l'autore della mappa anelava il riempimento. Qui egli si faceva interprete, oltre che di saperi geografici, di antiche leggende, credenze religiose, fantasticherie odeporiche.
La carta è dunque rappresentazione del mondo complessa perché di esso è insieme oggettiva e soggettiva, immagine del mondo fisico e culturale, dispositivo in cui si fondono realtà e fantasia, conoscenze empiriche, miti, utopie, teorie filosofico-religiose. Gli oceani (peraltro incartografabili) si riempiono, oltre che di rose dei venti, caravelle e galeoni, di mostri marini, sirene e pesci volanti; il Grande Nord oltre le brume dell'Ultima Thule, e, via via, il centro inospitale dell'Africa, l'America appena scoperta, la Terra Australis incognita, accolgono “sulla carta” di volta in volta l'isola misteriosa dove Salomone estraeva l'oro e l'argento per costruire il tempio di Gerusalemme, Gog e Magog, il regno del Prete Gianni, Ophir, le isole delle donne, Eldoradi, Amazzoni fino al dettaglio di strane creature senza testa con i tratti del viso impressi sul torace: figurazioni figlie del mito, della fantasia, del pregiudizio collettivi. Senza contare, con la nascita della cartografia a stampa e dei grandi atlanti (Ortelio, Mercatore, Bleau...), l'uso artistico dell'allegoria nei frontespizi e nei cartigli dove continenti, stati, regioni, assumono le morbide forme di corpi femminili: Europe-Fanciulle Rapite o Regine, Asie ricoperte di pietre preziose e portatrici di incensi e di ambre, seminude Afriche contornate di svettanti palmizi, giraffe ed elefanti, scure Americhe denudate e prone a significarne l'avvenuta conquista.
Insomma, le carte, sia quelle che rispondevano al bisogno di imitare la realtà, sia quelle che la trasfiguravano, implicavano il tratto artistico.
A cominciare da metà Ottocento esso ne è sostanzialmente escluso a tutto vantaggio del tratto geometrico: la carta diventa riproduzione “fedele” e astratta del mondo che deve essere rappresentato con esattezza per essere conquistato e dominato con profitto, percorso in tempi certi, trasformato come conviene. In mare, i pesci volanti sono sostituiti dal brulicare delle cifre delle sonde; in terra i fiumi diventano precise linee azzurre, le strade linee nere gerarchizzate, le montagne si fanno isoipse. La geometria scaccia l'arte e la fantasia; rigetta dalla carta tanto il vedutismo delle carte sette-ottocentesche quanto miti antichi e metafore dell'epopea delle grandi scoperte.
Ma nel corso degli stessi secoli non sono pochi gli artisti veri e propri che si prendono la loro rivincita nei confronti delle carte. Senza dire qui del campo della letteratura che ci obbligherebbe a un lungo percorso in cui le potenti metafore borghesiane e calviniane sono “solo” un esempio, né delle altre arti visive, nella pittura lo ha fatto, come è noto, magnificamente, Vermeer al tempo dell'Olanda della Compagnia delle Indie collocando mappe “vere” perfettamente leggibili sulle pareti di stanze semplici o di dimore borghesi in cui ritrae la donna in azzurro che legge una lettera, la giovane donna con la brocca dell'acqua, il soldato con la ragazza sorridente, o in cui compone l'allegoria della pittura. Lo avrebbero fatto tre secoli dopo Giorgio De Chirico, Savinio e Carrà, integrando nei loro quadri frammenti di carte geografiche nei quali, come ha scritto Christian Jacob a proposito di De Chirico, identifichiamo le caratteristiche della carta senza poterne effettuare una vera e propria decifrazione. «Queste carte illeggibili esibiscono allo sguardo tratti formali, codici figurativi, convenzioni grafiche che possiamo interpretare solo in modo comparativo, grazie al ricordo visuale delle carte vere»: allusioni a una geografia più fittizia che imitativa che completano la composizione metafisica.
Più recentemente lo ha fatto il valtellinese Emilio Isgrò che tira scrupolosamente una riga a ricoprire tutti i toponimi di una carta d'Italia. Una carta, più che muta, “cieca”, nella quale, a parte il profilo dello stivale e delle isole e i toponimi cancellati, non c'è nulla da vedere e tutto da immaginare. Lo ha fatto Claudio Parmiggiani dipingendo corpi di vacche bianche pezzate in cui le macchie nere dell'animale hanno la silhouette delle terre emerse. Lo ha fatto, ancora, nella sua Bottega dell'Arte Michelangelo Pistoletto con sedie “mediterranee” che si offrono a una continua e metaforica composizione-scomposizione della geografia del mare nostrum. Per non citare che pochissimi degli artisti coinvolti nelle varie epoche dalla forza simbolica e comunicativa della mappa.
Una variegata e feconda linea di richiamo alla carta nell'arte nella quale si collocano a pieno diritto e con originalità i lavori di Antonio Barrani.
Rivolgendosi, non a caso, a carte marine a stampa piuttosto recenti (non risalgono più indietro del tardo Ottocento), cioè a un supporto cartografico ormai privo di segni metaforici e povero di segni paesaggistici e tutto dominato dagli elementi funzionali alla navigazione, in esse l'artista ligure coglie il messaggio più forte – appunto l'andar per mari e porti – e vi trasferisce il linguaggio fantastico caratteristico della sua ispirazione risarcendole della perduta ricchezza simbolica. Senza, forse, conoscere il rivoluzionario lavoro di decostruzione della carta fatto sul piano scientifico negli anni Ottanta del Novecento prima di tutti da Brian Harley che ha messo in chiaro il potere persuasivo della carta e criticato, della cartografia moderna, proprio l'eliminazione della ricchezza di senso su cui si è fondata la geografia umana, attraverso la propria personalissima interpretazione Antonio Barrani restituisce alle mappe quella funzione di “racconto” del mondo – e dei popoli che senza sosta lo reinventano, nella realtà come nella rappresentazione – di cui in epoche precedenti esse erano meravigliosamente investite.

"Cinque Terre fantastiche"

Marco Ferrari (Presidente della Mediateca ligure) - 2013

In principio Dio creò il cielo e la terra.
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprirono l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Ma un giorno, uno dei primi, Dio creò la pianura padana e gli venne tutta bella e diritta e lunga e piena di fiumi e con un grande delta. Quindi chiuse la pianura con una cinta di monti, a nord e a sud. Quando scese più in basso creò un golfo stretto e poi gli scappò di mano la penna e disegnò delle colline sul mare. Pensò di essere in anticipo sui tempi perché quelle montagne sembravano un pianoforte e lui si disse da solo - non c'erano altri con cui si potesse parlare - che era troppo presto per inventare uno strumento musicale. C'erano cinque baie e cinque spiagge e cinque colline. Cinque era un numero che gli piaceva. Stava per farne un'altra e un'altra ancora, ma poi si fermò e lasciò quelle terre là come erano.
Si, il numero cinque era perfetto. Come lui del resto.
Oggi Antonio Barrani ci accompagna con queste immagini in un viaggio fiabesco nelle sue cinque terre, fatto di racconti e di sogni sospesi, in cui vorticano gli oggetti più strani, prue di navi, pesci, mongolfiere, musicando quello che Dio non fece.

"Un mondo in perpetua navigazione"

Giuliana Donzello (Esperta di Storia e Critica dell’Arte Contemporanea, curatrice del “Settore Arti Visive ” dell’Archivio Storico della Biennale di Venezia) - 2012
La relazione tra il sogno e la rappresentazione artistica è a tutt’oggi un terreno troppo importante perché possa andar perduta nel labirinto di memorie trascorse l’idea di una funzione catartica dell’arte.
Sul principio fu l’enigma a unire la divinità all’uomo; poi vennero i miti orali, le favole e le fiabe a dettare ammaestramenti, perché l’individuo seguisse la strada della verità e del bene. Infine, in epoche a noi più vicine, uno splendido Novecento, che, a partire dal simbolismo e a seguire la metafisica e il surrealismo, ha aperto a linguaggi nuovi e ha dotato gli artisti di nuovi strumenti di lettura, all’interno di un diverso metodo di approccio al mondo, in cui finiscono per fondersi sogno, rappresentazione, immagine
Nell’arte di Antonio Barrani, appaiono le memorie e i sogni in cui i colori, i segni e le manipolazioni sono metafore di una rappresentazione tutt’altro che convenzionale. Trasfigurazione, ironia, sentimento vi convivono impegnate nel ruolo di strumento che ora traccia il senso del processo insito nell’opera, ora attinge al fantastico e all’assurdo per indagare la realtà; diversamente, assurge ad autentico sistema del riciclo artistico, per denunciare le nevrosi, il degrado urbano e la solitudine dell’uomo contemporaneo.
I dipinti di Barrani sono il racconto calligrafico di un mondo in perpetua navigazione sulle carte nautiche del passato. Lo sguardo è lirico, la voce emozionale, l’affabulazione naviga o vola per luoghi trasfigurati da un temperamento garbato e incantato, ma tutt’altro che immune da un’inclinazione allo sconforto e all’inquietudine. Sono tracce di ricordi, sentimenti, desideri che riemergono dal profondo della coscienza, intessuti in immagini sospese, anticonvenzionali e parlano di mondi acquatici, in cui scorrono piccole barche dalle scocche realizzate con spartiti musicali; mondi che dondolano nell’universo, come palloni in cerca di un punto fermo su cui rimbalzare, lampioni che illuminano voli di farfalle e casette alla Grimm, sui cui tetti fumano grigie ciminiere. E tanti, tanti richiami nostalgici a ciò che era, che è stato e che non esiste più.
Su tutto, tuttavia, s’impone la costante, esterna presenza del mare e delle onde, su cui si staglia la prua di una grande nave, a indicare la possibilità di un viaggio per riappropriarsi di ciò che è andato perduto. Non piccoli palcoscenici, quindi, su cui rappresentare una storia forse scontata, ma una vicenda esistenziale narrata a varie riprese: un racconto pittorico intriso di creatività, di icone cariche di valori metaforici, che rendono sempre possibile la grande trasformazione di un paesaggio dove però tutto è apparente. Anche lo svagato e sognante atteggiamento da giramondo del pittore, che si ostina mirabilmente a comunicare una grande riflessione critica sul mondo, con il linguaggio ludico e infantile di un’infanzia magica mai dimenticata.

“Le Cinque terre ritrovate” al Museo Galata - Genova

Vincenzo Rezasco (Sindaco di Vernazza) - 2012
Nelle Cinque Terre ritrovate di Antonio Barrani , nelle marine dei borghi, ammantate della loro atmosfera fantastica e fiabesca appaiono nuovi elementi , determinanti per la rinascita di Vernazza e Monterosso : le ruspe. Sulla riva del mare accanto alle multicolori mongolfiere ed alle barchette di carta della nostra infanzia la ruspa non è fuori luogo Dall'acqua purtroppo è arrivata l il 25 ottobre 2011 la distruzione di Vernazza e dall'acqua,dal mare sono arrivati i soccorsi , la salvezza e la resurrezione. I pontoni hanno scaricato enormi polipi di acciaio che hanno iniziato con i loro tentacoli meccanici a liberare e a ridar luce ai vicoli invasi dal fango e dalle rocce scese dai monti. Piano piano le Cinque Terre saranno ritrovate, piano piano ritorneranno a vivere ma i draghi d'acciaio non riposeranno. Continueranno a lavorare più in alto ,lungo il fiume e sulle colline a sanare le profonde ferite e lacerazioni che la nostra terra ha patito”

“L’universo umano e poetico”

Gianni Franzone (Critico d’arte, conservatore della Wolsoniana di Genova) - 2012
“L’universo umano, poetico e artistico di Antonio Barrani è intrinsecamente legato al suo territorio, alle Cinque Terre e, in particolare, a Vernazza. Un senso di appartenenza profondo e inevitabile, un’intimità commovente e imbarazzante lo unisce a quei luoghi; è un affetto genuino e irresistibile per una terra bellissima e aspra, autentica e dura, per un mare salvifico e spietato che l’artista ha trasfuso nella sua opera, declinandolo con un segno ora naif ora ironico, ora fantastico ora inquietante, conferendole così quello specifico sapore vagamente allucinato, straniante e affascinante ad un tempo, che la contraddistingue. Non stupisce dunque che la terribile alluvione che recentemente ha devastato quei luoghi trovi eco nei suoi ultimi lavori. Eppure, al primo sguardo, le sue nuove tavole non sembrano mostrare segni tangibili di quel disastro naturale, cui la dissennatezza dell’uomo – come Barrani sa bene – ha dato un contributo non secondario. Di primo acchito vi scorgiamo l’usuale atmosfera sospesa e onirica, da idillio surreale: la distesa cupa e compatta del mare, il cielo affollato di pianeti, farfalle, trottole, cuoricini, barchette fatte con spartiti musicali recuperati chissà dove, e ancora le case e il campanile, qualche uccello che rivela l’ascendenza da dinosauri mostruosi. Se però guardiamo bene, scorgiamo una ruspa. E’ come una microepifania, il segnale che qualcosa è intervenuto a incrinare l’incanto o a rafforzare lo spaesamento, anche se la ruspa non è né minacciosa né sinistra e ha l’apparenza benevola e familiare di un giocattolo da bambini, un po’ meccano un po’ lego. Sembra quasi armonizzarsi col contesto, perché Barrani sa che, quando tutto cambia, è solo il persistere del passato a dare un senso al futuro. Anche la mongolfiera, con il pallone gonfio di vento, non ospita nel suo cesto-conchiglia curiosi d’antan o annoiati di oggi ansiosi di sperimentare vecchie invenzioni. Accoglie, invece, un microcosmo di casette dai tetti rossi e sembra l’incongruenza di un bambino intelligente e birichino.
Barrani non stravolge il suo segno per adeguarlo alla tragedia. Sa che sarebbe inutile. Sa che la maniera migliore per esorcizzare e neutralizzare la tragedia è fare come se non fosse accaduta o, meglio, come se fosse già passata. Perché è convinto che la sua terra può superare anche questa prova. E il suo lavoro d’artista non può esserle che d’aiuto.”

“Le memorie, il mare e la poesia”

Giorgio Seveso (Critico d'arte) - 2010
Vecchi calendari, partiture musicali, ritagli di giornali, antiche lettere dalla grafia inclinata... c'è di tutto a fare da supporto a queste recenti immagini di Barrani, a propiziarne la genesi e la sovrabbondante inventiva. Ma questa di dipingere usando tali inconsueti sfondi e inserti non è certo una opzione solo formale, qualcosa cioè che ha meramente a che fare con l'abbellimento dell'immagine finale o con il suo arricchimento, cioè solo con il gusto. Mi pare evidente, invece, che questa scelta sia di natura lirica, coerente alla poetica complessiva del nostro artista di Vernazza, da sempre tutta fondata, infatti, sul tema della memoria, della durata di sentimenti e valori: delle radici emozionali autentiche, insomma, che fondano le nostre consapevolezze. E questi sfondi, questi materiali che tornano a galla dal passato, queste tracce labili di ricordi, affetti e pensieri sono appunto l'intelaiatura ideale e insieme l'innesco più consono a sviluppare le sue fantasticazioni immaginifiche. Solo che si tratta di una memoria trasfigurata, metaforizzata, liricizzata, come solo può accadere per un poeta istintivo come lui; un tipo di memoria che, facendosi pittura e colore, proprio non gli consente una rappresentazione convenzionale, veristica o naturalistica, delle cose, ma che anzi ne induce la più sospinta dilatazione, la più lieta trasgressione. Ogni artista ha un suo nucleo intimo, un grumo speciale e irripetibile di cose da esprimere, e quelle di Barrani sono legate a un genius loci profondamente infitto nel tessuto stesso del paese in cui vive, arroccato sul mare delle Cinque Terre, con le sensazioni, le storie, le immagini allusive di un luogo sospeso tra gli alberi e gli scogli, tra le onde e il vento. Un luogo, però che proprio per il particolare temperamento lirico e trasfigurante dell'autore, diviene sotto le sue mani uno scenario puramente poetico, un gentile pretesto che si riempie di segni e di simboli con il colore dell'ironia e dell'humour, ma anche della malinconia e della nostalgia. Ed ecco allora che sui velari rappresentati da quelle tracce di memoria che Barrani ritrova nei suoi cassetti nascono brulicanti fioriture di fari marittimi e ciminiere fumanti, di sirenette allegre, di pesci ballerini, di santi, e madonne da ex voto che si affacciano tra le nubi. Oppure, a picco sui cavalloni infuriati, case come prue a fendere i marosi multicolori, barche danzanti sui flutti con i panni stesi al posto delle vele, pesci volanti, banconote, coriandoli di sogni. E dappertutto, pressochè onnipresente, a fondamento del quadro, il mare come un'onda che sostiene le immagini, come una spuma sonora e multicolore che schizza, schiaffeggia, blandisce, tormenta e accarezza ogni brano delle composizioni. È come se lo spettacolo della vita e del mondo, in quell'angoletto d'universo che è Vernazza, venisse osservato attraverso le lenti di un caleidoscopio e si trasformasse in un racconto scrosciante di allegorie, concentrate negli spazi inquieti e gentili di un teatrino di poesia. E dunque anche oggi Barrani non ha ancora finito di inventare giochi pirotecnici da pittore poeta, giochi suggestivi di colori e di emblemi mossi dai leggeri vortici di una lirica visiva di grande intensità.

La pittura fantastica

Valerio Cremolini (Critico d'arte) - 2007
Il filone del fantastico annovera nella pittura numerosi adepti. Antonio Barrani lo è da tempo e la colorita personale allo Studio d'Arte di Via Tommaseo 32 consolida la sua appartenenza a tale addensata area espressiva. Le memorie, il mare e la poesia sono i temi sviluppati unitariamente in una serie di recentissimi dipinti, nei quali l'artista di Vernazza dà conto della sua pregevole manualità e, soprattutto, di una autonomia inventiva che gli permette di prelevare simboli dal presente e dalla memoria e giocare con la fantasia.
Chi conosce la pittura di Barrani, esposta in oltre settanta mostre tra personali e collettive, sa con quanta confidenza compositiva egli accosti spartiti musicali a ciminiere, scafi di navi a immagini devozionali, calendari del passato a ritagli di giornali, case dai tetti aguzzi a panni stesi, carte da gioco a stelle luminose. Ogni parte di questa ricca scenografia ha una peculiare centralità nel vissuto del pittore ed è sempre in stretto dialogo con l'amatissimo spumeggiante mare, i cui innocui e gioiosi spruzzi, precisa Barrani 'diventano come la bacchetta di un maestro d'orchestra'.
Così prende corpo l'allegro musicale di una piacevole storia pittorica costituita da innumerevoli racconti dai titoli più vari e talvolta fantasiosi, ma strettamente pertinenti al contenuto delle opere (L'abbraccio, Il canto del merlo, Il giardino della memoria, La bilancia del paesaggio, Navi magiche, L'uomo, Le mongolfiere, Il cosmo, L'onda del ricordo, eccetera).
Nella pittura di Antonio Barrani, dalle multiformi soluzioni immaginative, l'esperienza esistenziale è segnata da accenti fortemente umani e non ne è estranea l'intonazione spirituale. Si coglie ancora la percezione di amare la memoria che rivive attraverso numerosi reperti di squisito sapore popolare.

"L'amico pittore"

Maurizio Maggiani - 2000
'Antonio Barrani è un giovane pittore, talmente giovane che si fa fatica a riconoscere in quell'omone grande e grosso, l'autore dei suoi quadri. Perchè è giovane il pittore, l'artista che è dentro l'omone. Cominciò a dipingere nella minuscola cantina di Corniglia, fuori da ogni scuola e contesto, la circostanza gli permise di saltare a piè pari la fase dell'apprendistato, se per apprendistato si intende l'esercizio di capacità tecniche non accompagnate da una visione personale, ma guidata da esempi e influssi.. La sua dialettica artistica si muove su piani di lettura, i suoi quadri sono incredibilmente colorati e giocosi dove ogni legge fisica è sovvertita, quadri, apparentemente gioiosi ma che ad un più attento esame rilevano diverse chiavi di lettura e, come nel mitologico labirinto di Arianna, chi si avventura alla scoperta del suo mondo interiore deve trovare la porta per entrare e poi, senza smarrirsi, pazientemente, ritrovare l'uscita, solo così, attraverso questi ripetuti viaggi si potrà sentire il 'respiro' dell'artista. La prima cosa che si percepisce, osservando i quadri di Antonio Barrani, è l'impossibilità ad entrare nei suoi quadri, in primo piano troviamo la grande onda che si erge come un alto muro, un'onda enorme, scura e spumeggiante le cui onde sono appuntite come lame. Superata l'onda ci troviamo di fronte ad un 'contrafforte' di case e chiese e sopra il tutto si erge enorme, alta e scura, esattamente al centro del quadro, la nave. Tutta la parte pittorica che riguarda il primo piano è colorata vivacemente con vernici e colori fluorescenti, un vero finto 'circo' chiassoso fatto per i 'curiosi', ma chi vuole porre orecchio potrà scivolare alle spalle dell'onda, delle case e della nave e allora nel silenzio sentirà il cuore dell'artista palpitare, nascosto in ogni magico disegno che fluttuante liberamente nello sfondo racconta una sua storia. Si può dire che l'artista riesca ad esprimere le sue emozioni più vere, attraverso un processo di rielaborazione magica che lo fa tornare 'bambino', il bambino che gioca e sogna protetto tra il 'grande' mare e le case serrate'.